
Le polpette al sugo secondo l’antica ricetta della domenica, il caciocavallo impiccato, le uova al tartufo, la maccheronata con fagioli quarantini di Volturara Irpina e pomodorini del Vesuvio, il timballo di zucca con salsiccia e broccolo di Paternopoli, la minestra maritata, il pane aromatizzato alla cipolla ramata di Montoro.
Questi piatti non nascono per caso ma sono il frutto delle ricerche e delle sperimentazioni dello chef Mario Carmine Solimeo che minuziosamente ama scoprire i migliori prodotti che il territorio irpino e campano può offrire affinché i suoi piatti siano la combinazione perfetta dei sapori autentici e genuini, in cui ci siano storie da raccontare e tramandare. “Ricordo ancora mia nonna in cucina che preparava le mitiche polpette nei giorni di festa, – commenta lo chef -, aggiungendo al trito di carni miste il pecorino, gli odori mediterranei, il pane raffermo e le uova, in sostanza ingredienti semplici e poveri. Poi venivano immerse in un sugo ottenuto dalla conserva di pomodoro estivo che si consumava anche durante l’inverno”.
Mario Carmine Solimeo, chef dall’animo romantico, preserva la nobiltà dei sentimenti anche in cucina, infatti essere ai fornelli non significa solo leggere una ricetta: è una questione di sensibilità, di rispetto degli ingredienti e dei tempi di preparazione. Queste attenzioni che dedica agli ingredienti più ricercati, protagonisti dei suoi piatti, sono riposte anche verso il mondo femminile, verso la bellezza delle donne spesso vittime di abusi e soprusi e il “Baccalà alla Donna Canfora, dea dei pirati del Mediterraneo” è proprio un omaggio a tutte loro. Esiste una leggenda intorno alla straordinaria figura di Donna Canfora, che ha contribuito a dare linfa vitale alle arti in generale, toccando il teatro, la poesia e la letteratura. Si narra che i Saraceni depredassero la costa di Tropea e Capo Vaticano, seminando panico e terrore tra la popolazione. Un giorno si presentarono sotto mentite spoglie, fingendosi mercanti orientali, venditori di spezie e sete colorate sul litorale di Torre Ruffa, ammaliati dalla seducente bellezza di Donna Canfora. Costei era una gentildonna ricchissima e bellissima, conoscitrice di antiche ricette e squisiti intingoli, parecchi a base di cipolla rossa che si coltivava dolce e squisita in quel comprensorio. Rimasta vedova ancor giovane, volle consacrare la sua vita alla memoria del defunto consorte, passando il tempo a filare la lana con l’arcolaio e preparando meravigliose ricette. Quando giunsero i mercanti sulla spiaggia, Donna canfora aveva appena finito di cucinare e arrivata la sua inserviente le raccontò che tutte le donne del paese erano corse in spiaggia dai venditori di spezie e sete. Donna Canfora convinta della cameriera, incuriosita si diresse verso il litorale sperando di trovare delle buone spezie per i suoi manicaretti. Giunta sul posto il capitano dell’imbarcazione la fece salire a bordo e con un cenno fece issare l’ancora e spiegare le vele. La nave iniziò ad allontanarsi sotto le grida disperate di altre donne. A quel punto Donna Canfora intuì le intenzioni dei Saraceni e chiedendo di dare l’ultimo saluto alla sua terra ed alla sua gente, andò spedita sulla poppa e sollevando gli occhi al cielo si tuffò in mare gridando: “Impara, o Tiranno, che donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!” Le vesti azzurre appesantite dall’acqua le impedirono di nuotare e annegando scomparve tra i flutti. La domestica in suo onore diede le sue ricette alle donne del paese per fare in modo che il suo ricordo restasse indelebile nel cuore delle future generazioni e in quel luogo il mare assunse un colore azzurro cangiante, a volte verde smeraldo, a volte turchese striato d’oro e d’argento e il fondo si coprì di alghe.
“Penso spesso a questo racconto e al fatto che in fondo questi pirati avessero un lato buono, – aggiunge Mario Carmine Solimeo -, convincendomi che il rapimento fosse proiettato non ai fini di una violenza ma spinto dal desiderio di assaggiare il baccalà di Donna Canfora. Ho perfino composto una poesia che nel rileggerla mi emoziona: Voglio amarti, voglio che ti siedi al mio fianco, voglio potermi girare e saperti lì. Voglio appoggiare la mia mano sulla tua gamba mentre siamo a cena con altra gente. Voglio tornare a casa in macchina con te. Voglio addormentarmi, svegliarmi, mangiare, parlare con te. Voglio parlare guardandoti negli occhi o gridando da un’altra stanza della casa. Voglio vederti tutti i giorni, guardarti camminare, guardarti aprire il frigorifero. Voglio sentire il rumore del phon provenire dal bagno. Voglio poterti dire tutti i giorni ciò che sei per me. Voglio poter litigare con te. Voglio vedere i tuoi sorrisi, voglio asciugare le tue lacrime. Voglio che tu mi dica durante una cena di tornare a casa perché sei stanca e hai sonno. Voglio essere lì quando hai bisogno di un aiuto per chiudere il vestito. Voglio dirti che stai bene con il nuovo taglio di capelli, voglio che ti aggrappi a me quando inciampi, voglio esserci quando comprerai le tue scarpe nuove. Voglio esserci sempre. Forse un giorno arriverai!”. Non resta a questa punto che scoprire l’originale ricetta dello chef Solimeo per sentirne i profumi ed evocare il richiamo irresistibile del mare di Calabria dove è nato lo chef Solimeo.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:
350 gr filetto di baccalà
500 gr cipolla rossa di Tropea
conserva di pomodoro
origano
farina di semola
olio di semi di arachide
olio extravergine d’oliva
PROCEDIMENTO:
Selezionare i filetti di baccalà alti due-tre dita, già ammollati e sciacquati. Tamponarli nella carta assorbente, ripassarli nella farina di semola e friggerli a bassa temperatura in olio. Questi filetti è meglio tenerli da parte e prepararli con un giorno di anticipo, di modo che possano riposare prima di essere immersi nella conserva di pomodoro. Far cuocere la conserva in padella con olio extravergine d’oliva, origano e cipolla rossa, sino a quando i sapori si fondano tra di loro. A questo punto immergere i filetti nel sugo di pomodoro e lasciarli cuocere pochi minuti a fiamma moderata. Questo secondo di pesce può essere realizzato anche nella variante agrodolce, facendo sfumare le cipolle soffritte in olio con un bicchiere scarso di aceto e un po’ di zucchero prima di aggiungere il pomodoro.