Per non dimenticare. Gli Ebrei tra religione, arte e cucina kosher

muro del pianto
Il Muro del pianto

LA RELIGIONE

Secondo la religione ebraica , il Dio unico è creatore del mondo e ha svolto la sua opera con sapienza grande, coronandola con la creazione dell’uomo; le sue opere sono perfette ed egli solo compie prodigi; egli tutto conosce e fin da principio ha potuto annunciare le cose future; “scruta i reni e i cuori” degli uomini, che non possono sottrarsi alla sua presenza perché, anche se salissero su nei cieli o scendessero negli abissi, ovunque troverebbero Iddio. Egli non tollera il male, e “i cieli altissimi non sono puri al suo cospetto”; tuttavia ha misericordia per l’uomo che pecca, perché è lento all’ira, paziente e non si compiace della morte del colpevole, ma gode che si converta e viva. La sua bontà si volge di preferenza ai poveri e ai deboli, e respinge lontano i superbi. I rapporti con il suo popolo sono regolati in base ai patti che egli stringe con esso; in ogni patto si può distinguere un dono che Dio offre al popolo e, da parte dell’uomo, un impegno che è l’espressione della sua riconoscenza. Succede che spesso l’uomo venga meno ai suoi impegni; Iddio invece è “fedele” ed adempie le sue promesse; la sua fedeltà e la sua veridicità sono stabili come i cieli. Inconoscibile per se stesso Iddio si rivela attraverso la natura “opera delle sue mani”, e attraverso la storia di cui è signore , in particolare attraverso la vicenda del popolo che si è eletto.

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Raffigurazione artistica su pergamena delle scritture ebraiche (Conteggio dell’Omer e memoriale)

L’ARTE

Gli Ebrei non coltivarono che scarsamente le arti plastiche e figurative, le quali poco si conciliavano con il loro sistema di vita. L’iconoclastia ebraica, ossia la soppressione delle figure nei templi, fu tuttavia rispettata e attuata con un certo rigore soltanto a partire dal I secolo a.C. Da allora viene a cessare quasi del tutto qualsiasi espressione di arte plastica e figurativa ebraica; solo l’architettura dei templi (sinagoghe) continuerà a svilupparsi, sebbene senza grandiosità, conservando una sua tipica fisionomia, quale espressione artistica imposta dalla religione e intimamente legata al culto di Dio. Gli Ebrei conobbero da vicino l’arte edificatoria degli Egiziani: usarono perciò pietre squadrate come costoro ma considerarono spregevole l’uso dei laterizi , forse per la mancanza di una buona qualità di creta o forse per l’odio accumulato in Egitto per tal genere di lavoro, che a loro era stato imposto. Rivestivano poi le pietre con tavole di legno, per lo più di cedro. L’opera più famosa è il tempio di Salomone, a Gerusalemme del X secolo a.C., di forma quadrangolare, senza peristilio, circondato da piccole celle distribuite su tre ordini; il carattere maestoso e la semplicità delle linee richiamano i templi egiziani. Distrutto da Nabucodonosor fu ricostruito ma venne raso al suolo dall’imperatore Tito nel 70 d.C. Altro grandioso edificio fu la reggia di Salomone, più comunemente nota come la “Casa della Selva del Libano” di stile egiziano con influssi greci nella copertura a tetto con quattro pendenze. Era tutto ricoperto di legno di cedro e dello stesso legno erano anche le colonne. Tra gli elementi decorativi simboli ispirati alla vite, all’olivo, al melograno e leoni, unici esseri animati a cui gli Ebrei non rinunceranno perfino nelle case private.  Come espressione artistica ricorrente si trovano anche fiori, uccelli, candelieri a sette bracci, divenuti il simbolo ufficiale degli Ebrei in esilio e due scudi incrociati, rappresentazione dello scudo di David. Per il culto dei morti gli Ebrei elevarono monumenti sepolcrali con colonne di stile dorico e furono inoltre abili orefici, abili nel cesellare l’oro e l’argento, così come nell’arte delle pietre preziose incastonate nell’oro. Gli Ebrei coltivarono anche la miniatura: celebri sono le miniature della Bibbia di Kennicot n.1 in cui accanto a motivi puramente ornamentali , vi sono raffigurazioni del re David, Gionata e Balaam, trattati con squisita sensibilità.

pane kosher fatto in casa
Pane kosher fatto in casa

LA CUCINA KOSHER

Il termine kasherùt in ebraico significa adeguatezza e quindi indica che quel determinato cibo può essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari che si trovano in religione e che sono state stabilite nella Torah nei libri di Levitico e Deuteronomio. Da più di tremila anni queste regole vengono osservate da tutti gli Ebrei che sono nel mondo. Il cibo kosher deve essere sottoposto a varie preparazioni e a controlli, sia nei ristoranti sia negli stabilimenti industriali, e per questo solitamente un addetto alla vigilanza chiamato Mashghiah, ha il compito di verificare che tutto proceda secondo le norme. Sul sito dell’Italy Kosher Union, ossia un’Agenzia al servizio dell’industria alimentare sono riportate tutte le regole sull’alimentazione ebraica, che devono soddisfare diversi criteri. Si riporta qui di seguito il testo:

Divieto di mescolare carne e latticini nello stesso pasto: la Torà in ben tre passi raccomanda di non cuocere “il capretto nel latte di sua madre”. Partendo da questa norma, la tradizione rabbinica ha proibito il miscuglio, il cucinare, e il trarre profitto da carne e latte cucinati insieme.

E’ vietato, quindi nello stesso pasto cucinare il latte (o dei suoi derivati ad esempio il burro ) con carne di qualunque animale sia quadrupedi ( es. carne di manzo ) che volatili ( es. carne di pollo).

Per questo motivo gli ebrei osservanti hanno due servizi di piatti e stoviglie diversi, scomparti distinti in frigorifero, ed anche spugne separate.

Animali permessi

Gli animali permessi sono quelli che sono ruminanti e che hanno lo zoccolo fesso cioè spaccato in due parti, come la mucca, il vitello, la pecora, la capra ecc. Gli animali NON permessi sono quelli che non hanno entrambi i segni…come ad esempio, il coniglio,il maiale, il cavallo etcc.

Sono esclusi dalla cucina ebraica, ad esempio, tutti gli animali definiti impuri (quelli con lo zoccolo o l’unghia fessi e che non ruminano), animali marini senza squame e senza pinne (non sono consentiti né crostacei né molluschi), uccelli rapaci e rettili.

Macellazione o Shechita– Il rituale della macellazione degli animali permessi cosiddetta shechita, deve essere fatta da un Rabbino competente che si chiama “Shochet” il quale ha la competenza per farla, deve cioè conoscere approfonditamente le regole ed essere dotato della licenza fornita dalla Comunità Ebraica. La macellazione prevede l’uccisione dell’animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo e senza alcun difetto o sgraffio sulla lama del coltello in modo da provocarne l’immediata morte e il completo dissanguamento. Successivamente vengono esaminati gli organi interni dell’animale per controllare che non ci siano difetti o tracce di malattia che lo rendano impuro: questa operazione si chiama “bediqat,” o controllo. Ogni animale non macellato secondo le regole è automaticamente impuro, illecito.

Divieto di consumare il sangue: il sangue contiene la vitalità dell’animale ed è quindi vietatissimo nutrirsi di qualsiasi forma di sangue che sia presente negli animali o volatili anche nelle uova il sangue è vietato.

E’ escluso il sangue dei pesci permessi, in quanto non è considerato sangue quello dei pesci , norma dettata dai nostri saggi (vedi sotto la voce pesci).

Per il consumo della carne dopo la macellazione è necessario che tutto il sangue rimasto sia passato e lavato con acqua e sale per non meno di venti minuti e non più di un’ora.

Invece il fegato i polmoni e il cuore deve essere trattatati sul fuoco direttamente unico modo per renderli kasher.

Divieto di consumare alcune parti di grasso: un tempo queste parti erano riservate al servizio dei sacrifici nel santuario a Gerusalemme.

Divieto di mangiare il nervo sciatico: si vuole in questo modo ricordare l’episodio biblico di Giacobbe che uscì azzoppato dalla lotta con l’angelo. Dopo questo evento Giacobbe fu chiamato Israele, ovvero “colui che lotta con D-o”.

Divieto di mangiare parti tratte da animali vivi.

Divieto di mangiare un animale permesso e macellato ritualmente qualora presenti malattie o difetti fisici.

Pesci permessi

I pesci permessi sono tutti quelli forniti di pinne e di squame. Nell’impossibilità di elencarli tutti, diamo qui un elenco dei più comuni: trota, nasello, merluzzo, sogliola, branzino, orata, sarda, sardina, sardella, sardone, acciuga, tonno, sgombro, cefalo, triglia, dentice, cernia, carpa, aringa, luccio, pesce persico, marmora, muggine, passera, san Pietro, salmone, spigola, rombo (non quello chiodato), platessa.

Importante: la denominazione dichiarata in pescheria non fa necessariamente fede. Non acquistare pesci senza pelle, onde verificare la presenza delle squame (se ci sono squame ci sono anche le pinne, ma non viceversa). Si deve inoltre sempre chiedere al pescivendolo di lavare il coltello e il ripiano di lavoro prima dell’uso per noi.

Divieto di bere vino o cucinare con aceto di vino non supervisionato dal Rabbino. Premesso che il vino per la religione Ebraica ha un carattere di santificare il Sabato e le Festività che ruotano intorno alla vita ebraica, l’iter per la sua produzione ha alcune particolarità.

Regola generale:. per motivi suddetti ogni operazione manuale ed ogni spostamento mosto/vino deve essere eseguita da Ebrei osservanti che collegheranno i tubi necessari ed azioneranno pompe, valvole e raccordi su indicazione del tecnico di cantina Ogni eventuale operazione eseguita da altri comprometterebbe l’intera vasca di produzione; per evitare intromissioni è necessario quindi sigillare con 2 segni in alto ed in basso con piombi e firma.

Fasi della produzione

Pulizia impianti. Tutti gli impianti in metallo o vetroresina debbono essere precedentemente lavati con acqua, soda e di nuovo acqua; le parti di raccordi in gomma vanno procurate nuove.

La spremitura. Già da questa fase deve intervenire il personale ebraico per ribaltare il camion e far pervenire le uve nella coclea, azionare le pigiatrice e disepatrice e le pompe che dirigono il mosto nel tino.

Gli acini. Bucce e semi vengono chiusi e sigillati per ‘essere portati in distilleria dopo aver bollito l’impianto. I prodotti che ne derivano da questa catena sono oramai considerati “mevushalvino cotto” quindi da questo momento può essere toccato da ogni operatore che è presente in cantina solo dallo staff del supervisore kosher.

Ad ogni travaso dovrà essere presente l’autorità Rabbinica. Il raffreddamento può essere seguito da una fase di stasi del vino

Immissioni

E’ permessa l’immissione di:

– Anidride solforosa S02

– Zuccheri purché controllati in forma di mosto concentrato, solo se certificato difficilmente reperibile in Italia da controllare la disponibilità in Francia o in Israele

– Aggiunta di saccaromiceti controllati dal Rabbinato francese tipo Kl Lavine o prodotti simili accompagnati da una certificazione kosher

– Bentonite

Bollitura o cottura

E’ una fase necessaria visto che trasforma la qualità del prodotto rispetto agli addetti professionali e tecnici che dopo questa fase possono intervenire manualmente.

La recente esperienza vinicola collega un pastorizzatore ad un refrigeratore: il vino passa 4 – 5 secondi alla temperatura di 86 Celsius per essere immediatamente raffreddata a -4 C. Tale procedura garantisce un mantenimento delle qualità organolettiche del prodotto senza perdita di aroma e profumo.

Filtraggio

E’ necessario per poter avere il prodotto Kasher Le Pesach controllare che i filtri in cellulosa non contengano amidi o derivati da altri cereali. La maggior parte di filtri in commercio se certificati rispondono a questi requisiti.

Imbottigliamento

Dopo una preparazione e pulizia dell’impianto è possibile imbottigliare in bottiglie nuove e pulite secondo la normale procedura. La norma ebraica richiede che vi siano tre segni di riconoscimento della specificità del prodotto:

– l’etichetta

– eventuale retro etichetta o in alternativa capsula termica

– tappo con segno di riconoscimento o marchio del Rabbinato

Nell’etichetta dovrà apparire inoltre il nome del Rabbino che ha eseguito il controllo e rilascia il certificato. Tale etichetta può anche essere eventualmente applicata sulle scatole d’imballaggio. Sarà l’Autorità Rabbinica a rilasciare ogni volta il numero di etichette o tappi necessari all’operazione.

La produzione annuale sarà accompagnata da un certificato Kosher rilasciato da un’Agenzia competente o da un Rabbino competente.

In Italia la cucina kosher è rappresentativa della comunità ebraica presente nel Ghetto  di Roma, zona antichissima nel cuore dell’Urbe, dove per antonomasia la cucina ebraica è associata a quella più tipica giudaica-romanesca, che si può trovare nelle vecchie trattorie ed osterie sparse qua e là. Come dimenticare il famosissimo carciofo alla giudia, lo stracotto di manzo, gli aliciotti con le puntarelle, la concia di zucchine, le paste povere e tante altre specialità? E’ sinonimo a Roma di cucina popolare, che ha saputo fondere aromi e sapori di derivazione sia occidentale che orientale.

Carciofi_alla_Giudìa
Carciofi alla giudia

Annamaria Parlato

 

 

 

 

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